Testo critico di Silvia Bordini
Guardando le colline e i boschi che circondano Il Giardino di Pianamola viene da pensare che questo luogo sarebbe stato perfetto come modello di quella pittura di paesaggio che dagli inizi del XIX secolo in poi diventa un genere autonomo e apprezzato; territorio di sperimentazioni e interpretazioni che si affermano per un lungo periodo non solo attraverso immagini di una naturalità sempre più codificata ma anche come riflesso di una particolare sensibilità della percezione.
Oggi invece, e intenzionalmente, in questo spazio espositivo il paesaggio costituisce non più il soggetto, ma la cornice di un tipo diverso di rapporto tra arte e natura. È l’esterno - limite fisico e inquadratura visiva - di un modo di guardare che, all’interno dello spazio di un giardino e del suo sfondo temporale, scombina l’ordine della rappresentazione come finestra sul mondo e dell’osservazione della natura come paesaggio. Mettendo inoltre in discussione, ancora una volta, l’antico assioma dell’imitazione e i suoi modelli codificati.
Elisa Resegotti, ideatrice e curatrice, genius loci si direbbe, del Giardino di Pianamola, da anni invita gli artisti a contribuire a delineare alcuni processi di elaborazione che evidenziano un ribaltamento di senso rispetto alla terra, alle acque, alle piante, alla luce, cioè agli elementi fondanti dell’assetto naturale.
Tutti i lavori artistici via presentati nella varie edizioni di One Minute Tree*, fanno riferimento più o meno direttamente ai processi mentali e alle pratiche che portano il paesaggio fuori dal quadro, nella tradizione della Land art e di Art in nature: gli orientamenti che degli anni Settanta assumono la natura stessa come supporto e come materiale delle opere, non solo simbolico ma fisico e vivente, in uno spazio e un in tempo sempre in divenire.
Ma quest’anno le tematiche della mostra sono formulate in base ad uno specifico nodo problematico che è enunciato dal titolo: naturaORDINEDISORDINE.
“Esiste un ordine (naturale) delle cose?” è infatti la domanda di fondo che Elisa pone agli artisti: un invito a mettere in discussione le nozioni di ordine e disordine ripensando, ancora una volta, alle regole spaziali, fisiche e relazionali di quello specifico orientamento dell’arte che si fa nella natura e con la natura, ma verificandole, come in un esperimento in vitro, nella cornice del Giardino di Pianamola.
Perché in un giardino la nozione di arte non può disgiungersi dalla nozione di vivente e di ininterrotta trasformazione e qualsiasi forma di disordine è subito traslata in un altro ordine – e viceversa -. E perché, più in generale, per riprendere una celebre frase di Theodor Adorno, “il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine”.
Ad un primo sguardo sembra che gli artisti abbiano aderito all’idea di caos, poiché si sono inseriti secondo un apparente disordine nell’area espositiva scegliendo insieme con Elisa i luoghi più adatti alle loro idee; inoltre hanno adottato tutta la varietà di linguaggi e tecniche che percorrono oggi l’orizzonte artistico, privilegiando le installazioni, la fotografia, il video, l’elaborazione digitale.
Per tutti comunque l’elemento unificante, o si potrebbe dire il paradigma che stabilisce un ordine comune, è dato dalla particolare attenzione per la dimensione simbolica del rapporto artificiale/naturale, evidenziata dall’insistenza sull’ambiguità creativa delle trasformazioni, da quelle quasi indistinguibili a quelle di maggior impatto, da quelle dominate da un codice costante a quelle invece portatrici di contraddizioni. La terra è la materia prima da cui si producono effetti ed eventi.
Nella terra sprofonda metaforicamente l’installazione di Hans-Hermann Koopmann, che ancora una volta mette in gioco la matrice scientifica della sua formazione per dare alle opere una particolare sensibilità visionaria. L’artista ha calcolato un asse che dal Giardino attraversa la terra e sbuca nel mar di Tasmania, vicino alla Nuova Zelanda, e si è chiesto quali stelle si vedano dall’altra parte del mondo. L’installazione earthhole, voragine 1 e 2 è concepita come un telescopio che attraversa la terra e fa vedere il cielo e le costellazioni agli antipodi. Non solo, ma da un secondo foro si può sentire il rumore emesso dalla terra che, come un’immensa cassa di risonanza, ha una propria frequenza sonora.
Carmine Leta fa emergere dalla terra una scultura in ferro, La promessa, che riproduce la capsula dei semi del Cistus, una pianta mediterranea considerata da Elisa come una sorta di emblema del suo giardino. A questa precisa ispirazione Leta accosta l’idea di promessa legata al seme e una frase di Bruno Munari, “Albero. L’esplosione lentissima di un seme”.
Con un effetto drammatico e straniante Krzysztof M.Bednarski contrappone al materiale vivente dell’albero, il residuo metallico di quella che è una delle esperienze più naturali e comuni, il sonno. Il confronto tra naturale e artificiale diventa spettacolare nell’installazione Sogni vegetali (verticali) che ingabbia un albero – tronco, rami, fronde e foglie – all’interno di un’impalcatura verticale di vecchi letti d’ospedale riprendendo e rielaborando la simbologia dell’installazione Vegetal Dream realizzata già nel 2010 per One Minute Tree.
Tutta vegetale e vivente invece è l’installazioni di Elisa Resegotti che da anni si occupa di coltivare e diffondere le piante selvatiche spontanee e le restituisce in segni e disegni modulari (come con “non fare di tutte le erbe un fascio!”, Artemisia, 2011). Nel suo giardino tra le varie sperimentazioni botaniche ha costruito nel tempo una spalliera di alberi di mimosa che intrecciano e incrociano i rami con la regolarità e le calcolate disarmonie ritmiche di una danza Dance in progress (dal 2002) ed oggi presentata come ordine disordine 2015.
Opera di Art in Nature è l’installazione di Anne Demijttenaere realizzata nel 2010 per One Minute Tree ed ora rivisitata per Elisa 2015. Fragile ed imponente nello stesso tempo, nelle intenzioni e nella realizzazione.
Per Martin Figura l’ordine/disordine della natura è riassorbito nella tradizione del dipinto, ma viene tradotto immediatamente in allegoria nel quadro a olio su tavola Prima del canto (2012) in cui le figure femminili ritte su una piccola penisola si stagliano e nello stesso tempo si confondono, quasi indistinte, sullo sfondo incerto di una sostanza indefinita. La modulazione cromatica che evoca l’acqua e la luce allude, nelle intenzioni dell’artista, all’entropia della natura che si contrappone all’ordine degli esseri umani.
Pietro Mari presenta un trittico fotografico la cui composizione è stata ispirata dal tema della mostra e della quale prende il titolo NaturaOrdineDisordine: le asimmetrie di due pini piegati dal vento affiancati a una palma centrale, sullo sfondo di un orizzonte marino. Ma non si tratta delle immagini di una natura incontaminata: uno dei pini fa ombra a un parcheggio di auto, un altro è sostenuto da un palo di ferro, e la palma è fasciata dalle bende che dovrebbero preservarla dai rigori invernali.
Attraverso una sequenza di foto in digitale e polaroid Jacopo Benci medita sul tema del parco in quanto, egli spiega, “natura ricreata/riorganizzata dall'uomo che però poi tende a riassumere le proprie caratteristiche e a sfuggire al controllo umano” . Il mistero del parco / The Mystery of the Park (2012), prende spunto anche dal mistero che pervade ordine e disordine nel giardino scelto da Michelangelo Antonioni per ambientare la scena chiave del suo film Blow-Up, in sintonia con le ricerche che da anni Jacopo conduce su questo regista.
Silvia Stucky in Senza io, 2015, fa scorrere ordinatamente una dopo l’altra immagini di foglie d’edera, una serie di iterazioni che sembrano senza fine – ma in realtà sono 93, e tutte diverse. Raccolte nel 2006, fotografate una ad una, trattate a frottage su altrettanti fogli A4 (ora alla mostra L’acqua è senza io, alla galleria Arte Fuori Centro, Roma , 22 aprile - 8 maggio 2015) e infine tornate alla terra nell’ambito di un’installazione a Villa Gregoriana a Tivoli (2014). Foglie dunque che tracciano una storia nel percorso artistico di Stucky, cambiando via via stato, dal naturale all’artificiale e dalla memoria all’oblio.
I video, infine, che ciascuno a suo modo, intrecciano un discorsi di tipo ambientalista, con sfumature più o meno evidenziate e differenziate. Inès Fontenla in modo diretto, in Requiem terrae, con l’immagine cartografica della terra che lentamente si frantuma e si accartoccia, sullo sfondo di un suono primordiale, ad ammonire sulla distruzione progressiva dell’ambiente da parte dell’uomo. Silvia Bordini con Erbacce celebra le piante spontanee che crescono nelle fessure e nei margini dell’habitat urbano; erbacce come avanzi, natura residua, serbatoio di diversità biologica, organi di senso dell’ambiente e l’altra faccia del modello tradizionale di giardino e di bellezza naturale. Maria Grazia Pontorno fa volare in cielo piante, alberi e perfino i grattacieli che sorgono presso il Central Park di New York, tutti con le loro radici sradicate dal vento: Roots, realizzato interamente con la tecnologia 3d, punta sulla suggestione di immagini totalmente artificiali e altrettanto totalmente naturalistiche, che conducono a una sorta di mondo parallelo, in cui tutto è simile e diverso, tutto è possibile, e la nozione di ordine e disordine si riassorbe nella dimensione dell’immaginario. Il video Isole del collettivo ticon3 (Nora Ciottoli, Diana Danielli, Elena Parati) sposta il discorso sulle acque di un mare specchiante da cui emergono i profili di un gruppo di isole: infine dunque un paesaggio, si direbbe, ma su di esso vanno a sovrapporsi, quasi in filigrana, i profili di licheni, tracce fossili e muschi, scompigliando la partitura visiva e dando vita a una mappa immaginaria e intercambiabile che sposta continuamente la percezione tra macro e micro.
In questo tragitto tra natura e artificio il Giardino di Pianamola diventa una sorta di hortus conclusus postmoderno in cui l’identità del luogo costituisce il punto di riferimento unificante di esperienze diverse. Si rivela nell’elaborazione dell’ambiente una molteplicità di suggestioni che indicano l’arte come zona di confine tra ordine e disordine.